Visualizzazione post con etichetta psicoterapia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta psicoterapia. Mostra tutti i post

venerdì 31 maggio 2013

"Cammino per la strada..."

"Dottoressa non riesco ad abbandonare un comportamento che non mi piace, anche se so che è dannoso per me", "Dottoressa ricado sempre negli stessi errori, voglio guarire". Tante volte ho ascoltato queste parole dai miei pazienti, la "guarigione" è spesso un cammino faticoso e graduale. Si fanno dei passi in avanti e a volte si ritorna sui vecchi meccanismi, ma quando si è sulla strada della "guarigione" ci si rende conto che  il vecchio comportamento non è più soddisfacente come una volta, finché non si arriva ad abbandonarlo del tutto ed a sostituirlo con uno nuovo più adatto a sé.
A tal proposito mi sembra interessante riportare una poesia di Portia Nelson, una cantante, attrice e scrittrice americana.
Spero che tale poesia possa essere uno stimolante argomento di riflessione non solo sul proprio percorso in terapia, ma anche sul proprio cammino quotidiano.

Autobiografia in cinque brevi capitoli
di Portia Nelson

I
Cammino per la strada.
C'è una profonda buca nel marciapiede.
Ci cado.
Sono persa...Sono impotente.
Non è colpa mia.
Ci vorrà un'eternità per trovare come uscirne.

II
Cammino per la stessa strada.
C'è una profonda buca nel marciapiede.
Fingo di non vederla.
Ci ricado.
Non riesco a credere di essere in quello stesso posto.
Ma non è colpa mia.
Ci vuole ancora molto tempo per uscirne.

III
Cammino per la strada.
C'è una profonda buca nel marciapiede.
Vedo che c'è.
Ci cado ancora...è un'abitudine.
I miei occhi sono aperti.
So dove sono.
E' colpa mia.
Ne esco immediatamente.

IV
Cammino per la strada.
C'è una profonda buca nel marciapiede.
La aggiro.

V
Cammino per un'altra strada.





giovedì 21 marzo 2013

Le emozioni in immagini


"Una giornata grigia", "un periodo roseo", spesso traduciamo in immagini ciò che sentiamo. Un buon aiuto per riconoscere, accettare e quindi gestire le nostre emozioni è quello di definirle attraverso metafore.
Come avrete notato, a volte nei miei post, ma anche con i miei clienti in terapia, utilizzo le metafore o le similitudini.

La metafora può favorire un processo di analogia e di identificazione, nonché d’apprendimento e d’elaborazione, e può diventare la base di un cambiamento. Infatti in terapia sto molto attenta ad aspettare il momento giusto in cui iniziare ad utilizzarle, aspetto di aver stabilito la fiducia e una conoscenza del mondo del cliente, perché credo che non esista la metafora buona per tutti, ma esista la metafora adatta a quella particolare persona. Per esempio se mi trovo di fronte un cliente che ha un hobby mi piace utilizzare questa sua passione per costruire metafore o anche similitudini e far si che il cliente usi questo "canale familiare" per entrare in contatto con se stesso con più facilità.
Inoltre in psicoterapia l'utilizzo delle metafore e delle similitudini può essere un modo per esprimere empatia e rispetto, facilitare una maggiore comprensione e un migliore contatto nella relazione terapeutica perché affina la capacità del terapeuta di mettersi nei panni dell'altro.

Mi sono soffermata a riflettere ed ecco una lista di metafore "note" per indicare uno stato d'animo, un'emozione, provate a leggerle e ad individuare se ce ne sono alcune a voi familiari:

Avere i nervi a fior di pelle...
Averne fin sopra i capelli...
Chiudersi a riccio...
Perdere le staffe...
Farsi il sangue amaro...
Avere il cuore di pietra...
Avere le ali ai piedi...
Sentirsi tre metri sopra il cielo...
Sentirsi su una nuvola...
Sentirsi come un elefante in un negozio di porcellana...
Avere il cuore che scoppia...
Avere il dente avvelenato...
Sentirsi libera come una farfalla...

Questa è la mia lista, se vi va potete completare l'elenco con metafore vostre, utilizzando immagini che vi piacciono per descrivere come vi sentite.

Un'occasione per entrare in contatto con le proprie emozioni e condividerle, le metafore.



giovedì 28 febbraio 2013

Il silenzio...più di una pausa tra mille parole!



Qualche settimana fa sono stata fuori per un week end in un posto meraviglioso, un paese di soli 1.000 abitanti immerso nella natura e nel silenzio che mi ha dato la possibilità di godere della pace di tranquille passeggiate nel verde, dell'aria pulita, dei caldi raggi del sole.
Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato il completo isolamento acustico delle camere e la mancanza di tv.
Eh già, proprio quel silenzio che molto spesso, in una società dove i "toni" sono sempre alti, facciamo fatica a trovare.
Da qui sono iniziate le mie riflessioni.
Il termine silenzio, dal latino "silentium", deriva dal verbo silere, ossia tacere, che indica la completa assenza di segnali.
L' assenza di segnali costituisce la conditio sine qua non per l'ascolto. Con il termine ascolto si vuole indicare una disponibilità a rivolgere la propria attenzione verso una persona o un evento con il fine di conoscerlo e comprenderlo.
Nella fugacità del silenzio è possibile ascoltare l'altro, soffermarci su quelle parole che spesso abbiamo sottomano ma ci lasciamo sfuggire. Il silenzio è la possibilità di avere qualcosa da esprimere ma scegliere di non farlo, per attribuire un giusto ed autentico valore alle parole a volte logore e superficiali, inflazionate da un loro utilizzo inautentico.
Il silenzio che diviene significativo quanto le parole "l'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicare anche loro" (Watzlawick et al.,1971).
Quindi il silenzio come relazione, come modalità comunicativa, come espressione delle proprie emozioni. Quante volte il silenzio nasconde momenti di rabbia, di imbarazzo, di vergogna, di paura ma anche di pace, di gioia, amore.

sabato 19 gennaio 2013

C'era una volta...


Un libro leggermente più grande degli altri, sporge dalla mia libreria, quale sarà? Mi avvicino e noto che è lui si proprio lui il mio primo libro. Quanti ricordi, credo sia stato un regalo dei miei genitori non ricordo neanche quanti anni avessi forse uno o poco più. Sfoglio le pagine ed i ricordi mi assalgono, è ricco di immagini di animali, di colori, di filastrocche...la fantasia va!
Guardo ancora incuriosita la libreria e a far compagnia al mio primo libro ci sono i libri della letteratura classica, da Verga a Pirandello, da Svevo a Goethe e poi i libri dell'università e quelli delle superiori, in primis i libri di letteratura latina e greca, con le stupende favole di Fedro ed Esopo.
Eh già le favole, mi sono sempre piaciute tanto, ma come mai?
Sarà perché posso dare libertà alla mia fantasia, perché mi sento più in contatto con i miei pensieri e con i miei vissuti emotivi, sarà perché ad ogni frase scopro qualcosa in più, delle alternative che spesso non riesco a vedere, soprattutto nei periodi di tensione.
Le favole, un mondo per i più piccoli, ma anche per gli adulti, utilizzando un linguaggio simbolico, tipico delle favole, direi, la favola una finestra a cui affacciarsi, per trarre, in qualunque momento, innumerevoli stimoli e benefici per il proprio benessere e la propria crescita interiore.

Qualcuno conosce la favola dei "caldomorbidi"?

Io la trovo meravigliosa, ricca di stimoli e per questo ve ne parlo.

La versione originale di questa storia è stata scritta nel 1969 da Claude Steiner, stretto collaboratore di Eric Berne (fondatore dell'Analisi Transazionale). Nel 2009 la casa editrice Artebambini ha pubblicato il libro illustrato "la favola dei caldomorbidi".
Nella favola si racconta di un luogo in cui le persone vivevano felici. I bambini, protagonisti della storia, potevano contare, fin dalla nascita, sul benefico calore creato dal contatto con i "caldomorbidi". Quando un bimbo nasceva trovava nella sua culla, posto vicino a dove appoggiava il suo pancino, un piccolo, soffice e caldo sacchetto morbido e quando il bambino infilava la sua manina nel sacchetto, poteva sempre estrarre un "caldomorbido".

venerdì 11 gennaio 2013

Come un tappeto volante...l'espressione delle emozioni!


Qualche giorno fa sulla pagina facebook "la tavola delle emozioni" ho postato una domanda: le emozioni della tua vita...qual è l'emozione che preferisci? 
Quella che eviti? Quella che temi?
A questa domanda non ho avuto alcuna risposta, solo una persona ha scritto: una domanda più semplice non ce l'hai?
A questo punto mi sono chiesta, qual è la difficoltà? 


Da qui è nato il post...

Esprimere i propri modi di sentire e le emozioni può essere una fonte di profonda soddisfazione perché rivela il proprio mondo interiore più personale ed intimo, credo che l' espressione delle emozioni sia uno dei regali più preziosi che possiamo fare a noi stessi e agli altri.

venerdì 4 gennaio 2013

Alla ricerca della felicità...

Felicità
C'è un ape che si posa
su un bocciolo di rosa:
lo succhia e se ne va...
Tutto sommato la felicità
è una piccola cosa.

Trilussa






Felicità…la parola più bella del mondo…l’immagine più rincorsa, la più desiderata, la più sperata… ma anche la più misteriosa!
Alla domanda: cosa vuoi dalla vita? La felicità è al primo posto.
Pur essendo il desiderio di tutti e dando gli stessi "sintomi" ad ognuno di noi: ci fa sorridere, ci riempie il cuore, ci sentiamo bene con noi stessi e siamo più propensi verso il prossimo, ognuno di noi ha difficoltà a definirla e da un valore diverso alla felicità, quello che può rendere felice me può non rendere felice un altro.
Aristotele, in uno dei passi più famosi dell'Erica Nicomachea, considera l'eudaimonia, termine che viene comunemente tradotto con felicità, lo scopo più elevato di una vita vissuta bene.
Per Aristotele, la felicità non coincide con il piacere e neppure con la virtù, ma è piuttosto un attributo dell'attività; l'attività felice è quella che non tende a nessuno scopo ma che risulta in se stessa soddisfacente.
Secondo Argyle, eminente psicologo, la felicità può essere intesa come "una riflessione sull'appagamento nei riguardi della vita, o come la frequenza e l'intensità delle emozioni positive".

"Perché la felicità – che non è mai una condizione permanente ma è effimera nell’esperienza degli esseri umani – è prima di tutto un agire. E sono i piccoli gesti quelli che fanno ogni giorno la differenza. Il dolce piacere di accogliere chi si aspetta una porta sbattuta in faccia, la scoperta di essere capaci di ribaltare un rapporto negativo, l’importanza di sentirsi accettati pur nella propria diversità, capiti anche nelle paure più segrete". (Maria Rita Parsi)

Daniel Gilbert, professore di psicologia all'Università di Harvard, considera molto importante per il benessere, il prestare attenzione alle nostre qualità.

giovedì 20 dicembre 2012

"Chi ha spostato il mio formaggio?"



"Quando superi le tue paure ti senti libero"


Questo è il titolo di un famoso libro di Spencer Johnson sul cambiamento. Alcuni amici che si trovano in periodi particolari della loro vita mi hanno chiesto di scrivere un post sul cambiamento, ed eccomi qui. Il cuore del libro di Spencer è la capacità di reagire efficacemente e con un atteggiamento positivo al cambiamento. Se il nostro "formaggio" scompare, ci blocchiamo e non riusciamo ad andare avanti, morendo di fame? O ci rimbocchiamo le maniche e andiamo alla ricerca di un nuovo "formaggio"?
Il "formaggio" è la metafora di quello che vorremmo avere dalla vita e il "labirinto" è il mondo in cui viviamo. Molte persone sono insoddisfatte di come va la loro vita, sono scontente dei rapporti sentimentali, sono annoiate o frustrate dal lavoro, ma allora perché tutte queste persone non fanno qualcosa per uscire dalle situazioni che le rendono infelici?
Come si sentono?
Innanzitutto credo sia importante dare ascolto alle emozioni, se ascoltandoci scopriamo che ci blocchiamo, come mai? Ci stiamo spaventando?
Alla base ci può essere il timore di non avere le capacità adeguate per fronteggiare una data situazione, la paura di quello che può riservare il futuro, la paura di rimanere soli. La resistenza al cambiamento può venire anche da un conflitto psicologico, come se alcuni individui sentissero da una parte una tendenza a cambiare, dall'altra una tendenza a rimanere immobili. Tale dinamica può avere origine dal copione di vita, in particolare dalle decisioni inconsce che le persone hanno preso fin da piccoli su come deve essere la loro vita.
Secondo l'Analisi Transazionale il copione di una persona è il suo "piano di vita" basato sulle decisioni fondamentali cognitivo-emotive prese nell'infanzia su di sé, sugli altri, su come sarà la propria vita e che limitano in qualche modo la possibilità di essere felice, autonomo, consapevole, intimo e flessibile.

domenica 2 dicembre 2012

Oggi indosso le scarpe di un altro

Etichettata, svalutata, incompresa, non ascoltata, ci sono giorni in cui mi sento così. Forse perché dall'altra parte incontro persone che non sono riuscite a mettersi nei miei panni, a comprendere ciò che sentivo, quante volte sarà capitato anche a voi.
Come vi siete sentiti?
Immediatamente mi viene da pensare "all'empatia", la capacità di capire lo stato d'animo dell'altro.
Essere empatici implica entrare nel mondo personale dell'altro. Significa fluire con i significati del vissuto dell'altro passando dalla paura, alla tristezza, alla confusione, al terrore con l'altro senza perdere la prospettiva. Significa vivere momentaneamente nella vita dell'altro. (Carl Rogers)
L'empatia permette di comprendere non solo le emozioni che le persone esprimono a parole, ma anche quelle espresse con i gesti, con la voce e altri canali non verbali. Strettamente connesso al concetto di empatia c'è quello di comunicazione empatica, che comporta l'ascoltare, il capire e comunicare all'altro ciò che si capisce. Queste competenze portano ad un'apertura alle relazioni interpersonali, al riconoscimento, al rispetto dell'altro e all'accettazione anche delle diversità.
Penso sia importante che se vogliamo essere ascoltati, compresi e soddisfatti nelle nostre richieste, dobbiamo stare attenti nel comunicare i nostri messaggi con rispetto ed empatia, mettendo da parte giudizi e critiche.

I vantaggi che la comunicazione empatica può darci sono tanti, tra cui:
diventare consapevoli di ciò che pensiamo
diventare consapevoli delle nostre emozioni ed esprimerle
diventare consapevoli dei nostri bisogni
agire formulando delle richieste chiare ed efficaci
agire formulando proposte buone per noi e per gli altri
diventare forti senza essere aggressivi
sentirci bene con noi stessi perché abbiamo ascoltato ciò che sentiamo e nelle nostre scelte e proposte all'altro abbiamo seguito i nostri bisogni.

martedì 20 novembre 2012

"Quel gigantesco barattolo di Nutella..."



Come non ricordare Nanni Moretti che mangia la Nutella da un enorme barattolo, quanti di noi hanno sognato di essere al suo posto?
In questa famosa scena del film "Bianca" (1984) Moretti cerca consolazione ad un momento stressante mangiando la Nutella, il protagonista non riesce a riposare accanto alla donna di cui si è innamorato, sembra che non riesca a tollerare un momento di intimità, allora si alza e, nudo e disperato affronta il gigantesco barattolo di Nutella.
E' stata definita “fame nervosa” (eating emozionale) quella particolare situazione in cui le persone tendono a fronteggiare le emozioni con l’assunzione di cibo invece di riconoscerle come tali e cercare una strategia alternativa per affrontare le sensazioni e le situazioni stressanti. L’utilizzo del cibo, non come appagamento di necessità fisiologiche, ma come mezzo per far fronte alle emozioni, è un fenomeno che può interessare ogni individuo in qualsiasi momento della sua vita.

mercoledì 7 novembre 2012

Se Cenerentola non trova il suo principe...

Vivere le emozioni in armonia con i propri bisogni e desideri porta ad un senso di benessere; al contrario la sofferenza è l'espressione di bisogni bloccati, emozioni negate e dolori inespressi che hanno portato la persona in un lontano passato a prendere inconsapevolmente delle decisioni che oggi come allora continuano a influenzare la sua vita limitandone l'espressività.
In particolare le esperienze dell’infanzia sono, per ogni individuo, modelli da riproporre nella vita di tutti i giorni, anche quando si tratta di atteggiamenti dolorosi e disfunzionali.

Cos'è l'Analisi Transazionale


    La nascita dell'Analisi transazionale risale al 1949 anno di pubblicazione del primo di una serie di sei articoli sull'intuizione scritti dallo psichiatra canadese Eric Berne.
    L'analisi transazionale è:
    una teoria della personalità che ci permette di vedere come siamo fatti dal punto di vista psicologico;
    una teoria della comunicazione che ci insegna a migliorare le nostre relazioni con gli altri;
    una teoria dello sviluppo infantile che ci aiuta a capire come mai nella nostra vita di adulti riproponiamo modelli di comportamento di quando eravamo bambini, anche se in questo modo ci procuriamo dolore e sofferenza.