Qualche
settimana fa sono stata fuori per un week end in un posto
meraviglioso, un paese di soli 1.000 abitanti immerso nella natura e
nel silenzio che mi ha dato la possibilità di godere della pace di
tranquille passeggiate nel verde, dell'aria pulita, dei caldi raggi
del sole.
Una
delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato il completo
isolamento acustico delle camere e la mancanza di tv.
Eh
già, proprio quel silenzio che molto spesso, in una società dove i
"toni" sono sempre alti, facciamo fatica a trovare.
Da
qui sono iniziate le mie riflessioni.
Il
termine silenzio, dal latino "silentium", deriva dal verbo silere,
ossia tacere, che indica la completa assenza di segnali.
L'
assenza di segnali costituisce la conditio sine qua non per
l'ascolto. Con il termine ascolto si vuole indicare una disponibilità
a rivolgere la propria attenzione verso una persona o un evento con
il fine di conoscerlo e comprenderlo.
Nella
fugacità del silenzio è possibile ascoltare l'altro, soffermarci su
quelle parole che spesso abbiamo sottomano ma ci lasciamo sfuggire.
Il
silenzio è la possibilità di avere qualcosa da esprimere ma
scegliere di non farlo, per attribuire un giusto ed autentico valore
alle parole a volte logore e superficiali, inflazionate da un loro
utilizzo inautentico.
Il
silenzio che diviene significativo quanto le parole "l'attività
o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di
messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non
possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo
comunicare anche loro" (Watzlawick et al.,1971).
Quindi
il silenzio come relazione, come modalità comunicativa, come
espressione delle proprie emozioni. Quante volte il silenzio nasconde
momenti di rabbia, di imbarazzo, di vergogna, di paura ma anche di
pace, di gioia, amore.